Booklet autoprodotto pubblicato in occasione dell’evento “Hello Goodbye” presso lo Studio Armenia in via Baldinucci 60 Milano
16 pagine A5
Vivere l’utopia - Vivere in un rendering
Questa mattina camminando per le strade del quartiere dove abito non ho potuto fare a meno di notare un nuovo cantiere, l’ennesimo. Una voragine nel terreno brullo e scuro punteggiata di grosse macchine escavatrici gialle. Un rumore meccanico fastidioso mescolato ai soliti rumori della città.
Davanti al cantiere un grande pannello con un’immagine stampata raffigurante un edificio di vetro e acciaio, tutto trasparente, immerso in una natura lussureggiante sotto un cielo terso. Davanti all’edificio piccoli alberelli giovani e panchine attraversati da figure anonime, apparentemente umane, trasparenti anche loro come le vetrate dell’edificio.
Questa immagine, generata con un software e quindi totalmente artificiale, dalla pasta pittorica, nasconde qualcosa di inquietante: ci mostra un mondo vagamente idilliaco ma senza umanità.
Evidentemente questi edifici non sono pensati per gli esseri umani ma per gli investitori: una entità astratta e sovrannaturale che gode di diritti a noi sconosciuti.
Sotto l’immagine una frase:
Diversa. Esclusiva. Unica. La tua nuova casa a Milano
Una vera e propria rivoluzione sostenibile, fedele all’autentica allure milanese.
Poi mi volto, e la realtà che vedo è un’altra.
Un bar buio e quasi sempre vuoto. Un gruppetto di anziani consumati da una vita alla ricerca di una stabilità economica e affettiva che li ha semplicemente svuotati dentro e che adesso si ritrovano a perdere le loro giornate a parlare di calcio e banalità varie, osservando astiosi la realtà che gli scorre intorno.
Una donna con la testa coperta da un foulard dal colore indefinibile che trascina un bambino distratto.
Un autobus semivuoto e sporco di polvere, chiamato anche il trasporta-poveri, si ferma in mezzo ad autovetture sempre più ingombranti e lucide, parcheggiate lungo un marciapiede cosparso di cartacce e sigarette spente.
Non sono nato qui, eppure è come se ci fossi sempre vissuto, già prima di nascere, in questo crocevia di asfalto e ringhiere di ferro, aiuole luride e panchine di cemento.
Continuo a muovermi - perché non sopporto questo posto - ma alla fine non riesco ad andarmene mai veramente da qui.
Anche quando sono altrove e penso di poter scoprire nuovi luoghi e nuove prospettive di vita, inevitabilmente sento l’odore dell’asfalto umido e del monossido di azoto e mi ricordo da dove vengo.
Appartengo a questi luoghi e, allo stesso tempo, ne sono estraneo. Non parlo con nessuno, come se avessi paura di restare contagiato, ma da cosa? dal fallimento? dalla miseria che mi circonda?
Ma che cos’è la miseria e dove abita veramente?
Tra i volti imbruttiti dei passanti che guardano fissi l’asfalto mentre camminano o tra i colori tenui dei rendering e delle pubblicità incollate sui muri?
Entrambi riflessi di una società modellata attorno ad una innominabile ideologia ed entrambi destinati a scomparire.
Quello che resta sono tracce visive, come impressioni di luce che in una carta fotosensibile si imprimono nella memoria, al di là della nostra consapevolezza. Queste forme, queste vedute, seguono percorsi ignoti, inconsci, e possono riemergere in maniera incontrollabile.
Mirko Smerdel, marzo 2024